Sonno, fame e controllo glicemico

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Una buona notte di sonno non ha effetti solo sull’umore e sui livelli di energia, ma entra in gioco in modo prevalente anche sui meccanismi che regolano il senso di fame e di sazietà. Durante la notte, infatti, avviene la produzione di due ormoni fondamentali per la regolazione dell’appetito: leptina e grelina.

La leptina è comunemente considerata soppressiva dell’appetito, mentre la grelina è orexigenica (cioè stimolante dell’appetito).

Sono secreti con un ritmo reciproco, influenzato dal sistema del neuropeptide Y (NPY) nell’ipotalamo, che agisce su questi ormoni. Questo sistema altamente specifico mostra una secrezione ritmica, che a sua volta impartisce lo stesso modello all’espressione dell’appetito e del comportamento alimentare. La leptina inibisce la grelina in un circuito di feedback tra gli organi dell’alimentazione e l’ipotalamo, che mantiene il peso corporeo. Quando questo circuito viene interrotto in qualsiasi punto, sia in termini di tempistica, durata o entità della segnalazione dell’impulso di feedback, possono subentrare disturbi metabolici, come l’obesità. La leptina aumenta anche il tasso di termogenesi, favorendo così il mantenimento del peso.

Poco sonno aumenta il senso di fame

Attualmente si è ipotizzato sulla base di una serie di studi clinici che la perdita di sonno disturbi la regolazione endocrina dell’omeostasi energetica, portando all’aumento di peso e all’obesità. A sostegno di questa tesi, è stato recentemente dimostrato che una riduzione della durata del sonno a 4 ore per due notti consecutive diminuisce i livelli di leptina circolante e aumenta i livelli di grelina, nonché la fame percepita. E si è ipotizzato che alterazioni endocrine simili si verifichino anche dopo una sola notte di restrizione del sonno.

Uno studio recente ha verificato che la deprivazione parziale acuta di sonno aumenta le concentrazioni plasmatiche di grelina e diminuisce quelle di leptina. Una notte di sonno ridotto per i soggetti dello studio ha dunque successivamente aumentato l’assunzione di cibo e, in misura minore, il dispendio energetico legato all’attività fisica. Questi risultati sperimentali, se confermati da misurazioni del bilancio energetico a lungo termine, suggeriscono che la restrizione del sonno potrebbe essere un fattore che promuove l’obesità.

Sonno, glicemia e insulinoresistenza

Il sonno sembra avere anche un ruolo importante nella gestione della glicemia. Il nostro corpo subisce ogni giorno un ciclo di cambiamenti, il cosiddetto ritmo circadiano, che innalza naturalmente i livelli di zucchero nel sangue durante la notte e quando una persona dorme. Questi aumenti naturali della glicemia non sono motivo di preoccupazione, in quanto il sonno ristoratore porta a ridurre i livelli di zucchero nel sangue non salutari.

La diminuzione del sonno è invece un fattore di rischio per l’aumento dei livelli di zucchero nel sangue. Anche una parziale privazione del sonno per una notte aumenta la resistenza all’insulina, che a sua volta può aumentare i livelli di zucchero nel sangue.Recenti studi epidemiologici hanno suggerito l’esistenza di un’associazione tra il controllo glicemico e i disturbi del sonno nei pazienti affetti da diabete di tipo 2.

Se abbiamo visto dunque che è importante per una buona notte di sonno un pasto serale a base di carboidrati, è altrettanto importante che questi siano ben bilanciati. Non solo per evitare innalzamenti notturni della glicemia, ma anche perché è stato studiato che l’assunzione di pasti ad alto indice glicemico può peggiorare quantità e qualità del sonno.

Fonti

  1. Schmid SM, Hallschmid M, Jauch-Chara K, Born J, Schultes B. A single night of sleep deprivation increases ghrelin levels and feelings of hunger in normal-weight healthy men. J Sleep Res. 2008 Sep;17(3):331-4.
  2. Associations between poor sleep and glucose intolerance in prediabetes. Iyegha ID, Chieh AY, Bryant BM, Li L. Psychoneuroendocrinology. 2019;110:104444.
  3. Afaghi A, O’Connor H, Chow CM. “High-glycemic-index carbohydrate meals shorten sleep onset,” Am J Clin Nutr. Feb;85(2) (2007):426-30.

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